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Vino moscato: il sapore dolce e autentico del fine pasto all’italiana

  • 08/09/2023

​Nel nome e nelle origini porta tracce mediorientali, mentre la sua impronta aromatica ci consegna un'esperienza assolutamente inconfondibile, frutto del territorio in cui viene prodotto: parliamo del vino moscato, protagonista indiscusso dei vini da dessert. Per scoprirne le peculiarità accendiamo i riflettori sul Moscadello di Montalcino, un vero e proprio distillato di storia e sapore che, secondo le tracce storiche lasciate da Pietro Aretino nel 1540 e da Francesco Redi nel 1685, è parte integrante della storia produttiva di Montalcino, forse ancor di più del Brunello, codificato solo a metà '800. Con Emanuele Nardi, enologo di Tenute del Cerro, abbiamo fatto il punto su questo vino pregiato e sul Moscato bianco, il vitigno che ne è all'origine e che si sviluppa ai piedi della suggestiva Abbazia di Sant'Antimo, nel cuore della tenuta “La Poderina".

 

Uno sguardo alla famiglia dei moscati 

Prima di scoprire le peculiarità del vino moscato, è utile fare una panoramica sulle diverse tipologie di vini da dessertil segmento di mercato in cui questo prodotto si inserisce. Come spiega Emanuele Nardi: “Il Moscato bianco è uno dei vitigni più presenti sul territorio italiano, ma presenta diverse declinazioni, si va dai vini spumante, come quelli tipici del Piemonte della zona d'Asti, a quelli lavorati come bianchi secchi, presenti un po' in tutte le regioni, per arrivare ai moscati più tipicamente classificati come vini da dessert, tra cui i vendemmia tardiva, i passiti e i muffati.

I primi, come suggerisce il nome, sono frutto di una vendemmia posticipata di circa un mese: normalmente, infatti, i grappoli di Moscato bianco arrivano a maturazione in settembre, mentre per ottenere un vendemmia tardiva si attende il mese di ottobre. Questo processo di maturazione prolungata porta a una riduzione dell'acqua contenuta nei grappoli e a una maggiore concentrazione degli zuccheri.

Nel caso dei passiti, invece, prima di avviare il normale processo di vinificazione, le uve vengono raccolte e fatte appassire sui graticci o in apposite cassettine.

Diverso è, invece, il procedimento alla base dei muffati, che prevede l'interazione tra i grappoli e una muffa nobile nota come Botrytis Cinerea: oltre a favorire la disidratazione degli acini, quest'ultima va ad arricchire la componente aromatica del prodotto finale".

 

Come si abbina il vino moscato? 

Per introdurci nel suggestivo mondo degli abbinamenti enogastronomici Emanuele Nardi fa una precisazione: “Spesso si pensa al moscato come a un vitigno delicato, che tende velocemente a perdere le sue caratteristiche, ma se lavorata bene, qualunque sia la declinazione, questo tipo di uva si presta anche a lunghi processi di invecchiamento che incidono in modo significativo sullo spettro aromatico".

“Tale presupposto - continua l'enologo -  ci permette di sfatare un mito: il moscato non è solo un vino giovane e può essere apprezzato anche in formulazioni molto invecchiate". 

Fatta questa premessa, Nardi ci spiega che un moscato secco viene solitamente abbinato a una cucina piuttosto tradizionale e gestito come un classifico vino bianco, da accostare, dunque, a una selezione di piatti caratterizzati da una struttura di sapori non particolarmente forte ed elaborata. “Poi, naturalmente - prosegue l'enologo - molto dipende dal gusto personale e dall'estro dello chef perché, sebbene la cucina italiana intesa in senso classico non preveda abbinamenti fuori dal comune, e dunque non ci aspettiamo di accostare il moscato ai piatti di carne, è altrettanto vero che nel solco delle nuove tendenze che integrano dolce e salato nei primi o nei secondi è possibile immaginare anche l'inedito abbinamento di un moscato, magari molto invecchiato, alle portate principali".

L'enologo conclude che - a parte casi eccezionali - “i moscati più freschi, con un residuo zuccherino importante, trovano la loro espressione migliore negli abbinamenti a fine pasto, l'unico azzardo, tutt'al più, può tradursi in un accostamento con dei formaggi". 

Il regno indiscusso di questa tipologia di vino, dunque, è quello dei dessert, un universo sensoriale in cui i suoi aromi hanno la possibilità di dialogare con la grande varietà di dolci all'italiana. Anche su questo fronte, naturalmente, ogni moscato, in base alla propria struttura, si sposerà al meglio con una determinata gamma di dolci, non a caso, come precisa Emanuele Nardi,  “Uno dei parametri tenuti in considerazione per gli abbinamenti è proprio il residuo zuccherino: con una pasticceria secca, ad esempio, è possibile servire un moscato non particolarmente dolce, mentre con le preparazioni al cucchiaio, come le creme, si propende per un moscato con un residuo zuccherino più alto".

 

Moscadello di Montalcino: il Moscato delle nebbie 

Come per tutti i vini moscati italiani, comprendere l'affascinante percorso che dalle uve Moscato bianco porta all'unicità del Moscadello di Montalcino significa partire dalla zona di coltivazione. Alla base di questo

prodotto così pregiato c'è infatti un clone tipico della zona: si tratta di un vitigno che trae alcune delle sue caratteristiche principali proprio dall'area geografica in cui si sviluppa. Siamo in località Castelnuovo dell'Abate, nell'area più a valle dell'intero comprensorio della Poderina: qui non è raro assistere alla formazione di banchi di nebbia che incidono in modo decisivo sullo spettro aromatico delle uve e, dunque, sull'inconfondibilità del prodotto finale. Come ci spiega Emanuele Nardi, infatti: “Se talvolta la presenza di nebbia può rappresentare una componente negativa per la produzione del Brunello, per il Moscadello avviene il fenomeno opposto: questa particolare condizione climatica favorisce lo sviluppo della Botrytis Cinerea, la muffa nobile che, come abbiamo visto, viene impiegata per la produzione dei vini muffati. Il risultato di questa particolare combinazione è un vitigno aromatico con note olfattive molto importanti che evocano sentori di gelsomino e fiori d'arancio. Ma c'è di più: “Il Moscadello di Montalcino prodotto in Tenuta - precisa Nardi -  è classificato come un vendemmia tardiva, ma presenta alcune caratteristiche dei muffati, ciò significa che le note di frutta tipiche del vendemmia tardiva, dal profumo di pesche e albicocche mature, incontrano gli aromi tipici della frutta secca e l'inconfondibile sentore di zafferano che caratterizza il vino muffato". 

Per storicità, spettro aromatico e zona di provenienza, dunque, il Moscadello di Montalcino è davvero unico nel suo genere, un condensato di autenticità toscana in grado di valorizzare i piatti a cui viene abbinato con semplicità ed eleganza: per scoprirlo nel suo contesto di produzione l'ideale è una visita alla cantina della “Poderina": qui, immersi in un paesaggio agricolo che nel 2004 è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità Unesco, i visitatori hanno l'opportunità di entrare in contatto con la storia enologica del territorio e di apprezzare il Moscadello Vendemmia Tardiva prodotto in Tenuta insieme al pregiato Brunello di Montalcino DOCG, disponibile anche in versione Riserva.

 

E voi siete curiosi di lasciarvi conquistare dal gusto dolce e intenso dei vini della Toscana?​