Toscana Dantesca: sulle tracce del sommo Poeta tra Siena e Pisa
Dante a Siena
Fontebranda e Mastro Adamo da Brescia
“Ma s’io vedessi qui l’anima trista di Guido o d’Alessandro o di lor frate, per Fonte Branda non darei la vista”
(Inferno XXX, vv. 76 – 78)
La prima tappa del nostro itinerario nei luoghi danteschi ci porta alla Fontebranda. Questa imponente fontana medievale che si trova nel territorio della Nobile Contrada dell’Oca è caratterizzata da tre arcate gotiche ogivali sormontate da merli e da una fila di archi ciechi con motivi triangolari. I quattro zampilli leonini che decorano il frontale riportano l’antico stemma di Siena. Oltre che per l’interesse storico e artistico, Fontebranda deve la sua fama soprattutto alla menzione che ne fa Dante nel trentesimo canto dell’Inferno, nella bolgia dei falsari. Qui incontriamo Mastro Adamo da Brescia che, condannato a patire la sete in eterno, si dice disposto a rinunciare all’acqua di Fontebranda, pur di vedere all’Inferno anche i Conti Guidi di Romena. I tre fratelli, Guido II, podestà di Siena nel 1283, Alessandro e Aghinolfo, avrebbero spinto Mastro Adamo a falsificare i fiorini senesi sostituendo tre carati d’oro con altri metalli. Sebbene alcuni dantisti ritengano che la Fontebranda a cui fa riferimento il testo sia quella di Romena, nella Valle del Casentino, in provincia di Arezzo, la fonte senese resta tradizionalmente legata a Mastro Adamo e alla citazione dell’Inferno.
Sovicille e il “Ponte della Pia"
“Ricordati di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfacevi Maremma”
(Purgatorio V, vv. 133 – 134)
Con questi celebri versi incontriamo uno dei personaggi danteschi più noti: Pia De’ Tolomei. La sua tragica storia ci conduce tra Siena, città natale della donna, a Sovicille, località in cui sorge tuttora il ponte medievale che sormonta il torrente Rosia e collega Siena alla Maremma. L’antica struttura viene tradizionalmente considerata la scena dell’omicidio della nobildonna senese che, ingiustamente accusata di infedeltà da parte del marito, Nello d’Inghiramo dei Pannocchieschi, fu spinta giù dal ponte. La donna, che Dante colloca nel Purgatorio, tra le anime di coloro che morirono di morte violenta, gli chiede di pregare affinché la durata delle sue pene sia più breve. Il “Ponte della Pia” resta oggi avvolto dal fascino misterioso e romantico che ammanta la vicenda rievocata da Dante e che nei secoli si è trasformata in leggenda: si racconta che nelle notti senza luna l’anima della povera Pia continui ad aggirarsi nei pressi dell’antico ponte di pietra manifestandosi come una donna vestita di bianco con il volto velato e avvolta da un lieve chiarore.
Il Poeta in terra pisana
“Questi pareva a me maestro e donne, cacciando il lupo e’ lumicini al monte per che i Pisan veder Lucca non sonno”
(Inferno, XXXIII, vv. 28 – 30)
Il trentatreesimo canto dell’Inferno ci porta a Pisa. In questa città Dante soggiornò per quattro anni, a partire dal 1312, dopo aver trascorso un periodo a Genova. E’ proprio a Pisa, inoltre, che il Poeta compose “De Monarchia”, opera in latino destinata a una cerchia di lettori eruditi.
Tra i riferimenti che punteggiano il testo dantesco, in particolare, i versi 28 – 30, indicano al lettore un luogo ben preciso: il Monte Pisano, quello che separa Pisa e Lucca. E’ qui che, non a caso, si trova il “Passo di Dante”. I versi della Divina Commedia che definiscono geograficamente questa località sono riportati su una stele di marmo accanto al busto del Poeta e scandiscono ancora oggi il percorso di turisti e camminatori che vi giungono attraversando quei sentieri che un tempo rappresentavano l’unica via di collegamento tra le due città. Meta di appassionati di trekking ed escursionismo, il “Passo di Dante” regala una spettacolare vista su Pisa e sul mare e perpetua il ricordo dell’opera dantesca.
Nella città del conte Ugolino
“Poscia, più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno”
(Inferno, XXXIII, v. 75)
Con quello che viene considerato uno dei versi più famosi della Divina Commedia Dante evoca la tragica fine del Conte e dei suoi figli che nel marzo del 1289 furono lasciati a morire di fame nella Torre della Muda. Stagliandosi in Piazza dei Cavalieri, a Pisa, questa torre ricorda ancora oggi la drammatica vicenda.
Monterufoli: nella terra del Conte Ugolino
Fattoria del Cerro
